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Il cliente: nothing else matters!

4 Aprile 2018 by maggipinto
Lo scorso 24 febbraio, un sabato mattina sereno e moderatamente ghiacciato, una compatta delegazione dell’agenzia - composta da un grafico navigato e due copy espansive – si è recata in una coraggiosa avanscoperta nel mondo dell’UX design e dell’architettura dell’informazione conquistandosi un posto in prima fila all’evento del #WIAd!
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Lo scorso 24 febbraio, un sabato mattina sereno e moderatamente ghiacciato, una compatta delegazione dell’agenzia - composta da un grafico navigato e due copy espansive – si è recata in una coraggiosa avanscoperta nel mondo dell’UX design e dell’architettura dell’informazione conquistandosi un posto in prima fila all’evento del #WIAd! Come vi avevamo già raccontato qui (link all’articolo #WIAd), Maggipinto Agency è stato uno degli sponsor dell’edizione barese del World Information Architecture Day, una giornata di talk e workshop tenuti da ospiti d’eccezione, che ci hanno fruttato pagine e pagine di appunti insieme a nuovi strumenti del mestiere. Al ritorno dalla missione, tutto il team creativo si è riunito nell’Agile Room, un’area dell’ufficio popolata da una quantità impressionante di post-it e pennarelli indelebili, per tirare le fila del discorso
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Se uno dei nostri motti è: “ogni successo va celebrato, possibilmente con una birra”, un altro in cui crediamo molto è “sharing is caring”, per questo ci prendiamo un po’ di spazio per parlarvi di tutto quello che rende agile il nostro lavoro. [Titolo paragrafo + blocco testo] Maps e Canvas in compagnia delle giuste Personas Imperativo categorico di un buon architetto dell’informazione e UX designer è quello di saper vestire i panni del cliente. Non il proprio cliente, ma l’utente finale: la persona che navigherà sul sito che state progettando, che visiterà lo stand che state allestendo, che leggerà la brochure che state impaginando, e via dicendo. La nostra squadra creativa è composta da acrobati spericolati, capaci di lanciarsi da un esecutivo all’altro destreggiandosi tra le esigenze del cliente e la propria irrefrenabile creatività, ma siamo anche abili trasformisti in grado di eseguire un impeccabile tuffo carpiato nei panni del nostro target. Per compiere tale prodezza ci serviamo di tre semplici strumenti di business modeling: empathy map, personas e customer journey map. Ponendo in questi canvas le giuste informazioni possiamo dare inizio alla nostra profilazione. Ma come funzionano questi modelli? Lo scopo della empathy map, per quanto chiaro, è tutt’altro che semplice: creare empatia con l’utente finale. L’empatia è la capacità innata di comprendere i sentimenti e i pensieri altrui a partire da un processo di identificazione con chi abbiamo di fronte. Nel nostro caso, però, la sfida è quella di entrare in sintonia con un target intangibile e sfuggente. La mappa ci permette di definire il profilo del nostro utente finale ideale, ‘scontornandolo’ dal contesto in cui è inserito: cosa pensa, quali sono le sue preoccupazioni e le sue priorità? In che ambiente vive, cosa vede intorno a sé? Chi sono i suoi amici? Cosa lo colpisce maggiormente? Cosa dice? Cosa sente dagli altri, dalle persone di cui si fida? Risposta dopo risposta, emergerà dalla folla confusa del pubblico il nostro target preciso, si definirà una classe di destinatari cui il nostro progetto dovrà rivolgersi. Figura 4 - La nostra empathy map Possiamo però andare più a fondo e analizzare il nostro target nel dettaglio, disegnando una persona, scegliendo un rappresentante ideale cui cuciremo su misura una storia e una personalità e che corrisponderà al nostro utente finale per età, occupazione, hobby, capacità di utilizzo della tecnologia, attività sui social, pretese e necessità, gusti e preferenze, sogni e paure. Le personas danno un volto al nostro target e lo rendono un soggetto con cui ragionare in prima persona, facilitando il nostro compito di esercitare empatia, di guardare al lavoro dal punto di vista di chi ne beneficerà. Le personas sono uno strumento d’analisi potentissimo e molto efficace, ma hanno un limite: citando Ross Unger – uno dei massimi esperti di UX design – le personas sono come Babbo Natale, avranno un valore reale solo se ci crediamo. Il processo di identificazione è ormai quasi completo, l’ultimo passo da compiere è agire come il nostro utente finale. Accorre in nostro aiuto la customer jouney map, una canvas che traccia l’esperienza reale di navigazione che il nostro target proverà una volta in contatto con il nostro progetto. Il valore aggiunto di questa mappa è proprio il suo tener conto del journey, del viaggio che l’utente intraprende con il nostro lavoro: in quest’arco temporale vengono messi in evidenza i touchpoint che incontra, le azioni che compirà, i dispositivi che utilizzerà (lo smartphone? Lo schermo del suo PC? Il suo tablet?), fino alle emozioni che proverà lungo tutto il percorso. Lo zoom out risultato dalla costumer journey map ci permetterà di affrontare il nostro lavoro da un punto di vista diverso e creativamente originale, restituendoci una dimensione temporale del progetto. Saremo capaci di prevedere i possibili problemi che potrebbero ostacolare l’utente finale, anticipare richieste di mercato e disegnare un’esperienza perfetta che garantirà al nostro committente una crescita anche in termini di ricavi. Tutto quello che serve, è cominciare allenando con costanza la nostra connaturata capacità di guardare al nostro lavoro con gli occhi degli altri.In conclusione, la nostra riunione nell’Agile Room è stata un successo: alla fine ciascuno dei membri del nostro team creativo ne è emerso con considerevoli problemi di identità, e ancora fatichiamo a convincere Tullio - grafico, web designer e padre di famiglia - che no, lui non è Laura, giovane studentessa di marketing. Ma ormai la nostra empatia è alle stelle, e non possiamo più tornare indietro.
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